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Immigrazione

“Da come affronteremo la questione migratoria dipenderà quello che saremo in futuro. C’ è in ballo il nostro futuro, appunto. L’ emigrazione è la questione che la storia ci pone davanti oggi: da come reagiremo capiremo se diventeremo un gruppetto chiuso nelle proprie barriere e fortezze in attesa di essere travolti o se sapremo pensare il futuro in maniera progettuale e aperta”.

Con queste parole il nostro Presidente di Azione Cattolica, Matteo Truffelli, ha chiarito la posta in giorco quando si parla di immigrazione.

Una riflessione della nostra associazione su questo tema non può prescindere da un’analisi su quanto sta accadendo e dalla comprensione sulle scelte politiche che stanno alla base di decisioni così “divisive” all’interno delle nostre comunità.

I centri di accoglienza in Italia

Sono sostanzialmente di tre tipi le forme di accoglienza degli immigrati in Italia: Centri per richiedenti asilo (Cara), Centri di accoglienza straordinaria e Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR), costituito dalla rete degli enti locali che per la realizzazione di progetti di accoglienza integrata accedono, nei limiti delle risorse disponibili, al Fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo.

Negli ultimi anni, in particolare dal 2014, si è investito molto nell’obiettivo di rendere il sistema ordinario di accoglienza preponderante rispetto a quello straordinario e tuttavia in Italia ancora il 70 per cento dei richiedenti asilo è ospitato nei Centri di accoglienza straordinaria (Cas), cioè in alberghi, capannoni ed ex caserme (in tutto 136.978 posti), spesso lontani dai centri abitati, e nei Centri per richiedenti asilo (Cara), strutture in cui si rimane per mesi (anche se la legge prevede una permanenza massima di 35 giorni). I Cas sono gestiti dai prefetti che in via straordinaria assegnano dei fondi a privati.

Le differenze fondamentali tra gli Sprar e i Cas sono due: il tipo di servizi offerti a fronte della spesa che è identica (i famosi 35 euro a persona al giorno) e le regole che i due sistemi seguono. Il sistema Sprar è sottoposto a una rendicontazione più rigida, standard di qualità più alti, offre servizi più articolati ed è gestito dagli enti locali che sono obbligati a spendere tutti i fondi ricevuti nel progetto, senza poter fare profitti.

Il decreto sicurezza e immigrazione, approvato dal parlamento il 27 novembre del 2018, prevede il potenziamento della rete dei centri straordinari di accoglienza e dei Cara e al contrario un ridimensionamento dell’accoglienza diffusa, cioè del sistema Sprar.

Nel corso degli anni Cara e Cas sono spesso stati protagonisti di inchieste giornalistiche e giudiziarie per le pessime condizioni dell’accoglienza, ma anche per appalti assegnati con criteri poco chiari o per la penetrazione di gruppi criminali nella gestione. Spesso gli attivisti e gli stessi migranti ospiti di questo tipo di strutture ne hanno chiesto la chiusura. C’è quindi un problema importante nella gestione delle strutture ma non sono chiare le strategie per la soluzione dei problemi.

In tutto il territorio nazionale i progetti Sprar sono 877 e coinvolgono 1.200 comuni italiani, che ricevono fondi dal ministero dell’interno per occuparsi direttamente dell’accoglienza. Nel 2009 gli Sprar ospitavano tremila persone, mentre nel 2018 sono arrivati a ospitarne 35.881. L’idea fondamentale che ha ispirato questo sistema è stata quella di rendere diffusa l’accoglienza, secondo un principio di solidarietà e condivisione delle responsabilità.

 

Le scelte politiche degli ultimi 2 anni

Nel 2017 l’allora ministro dell’Interno Minniti firmò un accordo con la Libia per contenere i flussi verso l’Italia. Un anno dopo il Governo Conte ha semplicemente confermato la volontà di rafforzare questa partnership con il Paese nord-africano. Un anno e mezzo fa il ministro dell’Interno del governo Gentiloni allontanava le Ong dal Mediterraneo con l’introduzione del Codice di condotta. Il Ministro Salvini, nel 2018, ha iniziato la campagna di chiusura dei porti.

“Entrambi i Governi hanno registrato a distanza di 12 mesi l’uno dall’altro tassi di gradimento molto elevati sul tema dei migranti. Il problema, dunque, non si può ridurre a mere strategie politiche, ma va ricondotto a una questione più profonda, che attraversa tutta la società. La particolare “attenzione” istituzionale sul tema dei migranti è figlia di un malessere diffuso che in questi anni, in assenza di risposte adeguate, si è catalizzato sui più vulnerabili, spesso dipinti come la causa di tutti i mali. E chi ha compreso questa dinamica l’ha strumentalmente utilizzata per alimentare la macchina del consenso.” (Oliviero Forti – Caritas Italiana)

Il Governo in carica sta lavorando su nuovi bandi, quelli che riducono i costi da 35 euro a 21-26, tagliando tutti i servizi all’integrazione. Uno degli obiettivi più volte sbandierati dal ministro Salvini.

Come reagiscono le nostre comunità

La Caritas Lombardia ha stimato che sono almeno 500 i migranti ospitati nelle strutture gestite dalle Caritas lombarde che perderanno il diritto all’accoglienza per effetto del decreto Sicurezza. Ma non finiranno in strada, abbandonati al loro destino: pur esclusi dal sistema di accoglienza prefettizio –rimarranno dove sono (Dichiarazione del Direttore Caritas Lombardia).

Qual è la situazione nel nostro comprensorio cesenate? Che tipo di accoglienza è praticata e quali sono gli obiettivi? Caritas di Cesena-Sarsina, Quartiere Cervese Nord e associazione Papa Giovanni XXIII ,Giovedì 24 gennaio nella sede del quartiere Cervese Sud, a S.Giorgio hanno dato vita ad un incontro interessante con esperti (avvocato Laila Simoncelli) e testimonianze dirette degli ospiti della comunità Papa Giovanni XXIII di Bagnile insieme al loro responsabile Giorgio Pollastri. Il referente dei laboratori Caritas  della diocesi William Tafani  ha introdotto definendo la situazione preoccupante sia per i migranti sia per favorire un cambiamento di mentalità. La parola è poi andata a Giorgio Pollastri che ha dato qualche dato  circa la comunità di Bagnile: iniziò nel 2016 con 4 persone , ora sono in 15 , 44 sono stati gli immigrati accolti fino ad ora. Non solo accolti, ma tutti quelli che sono partiti sono stati accompagnati fino a quando non avessero trovato o un posto di lavoro e/o una residenza, nessuno è mai stato messo fuori o abbandonato. Lo stile è quello di una famiglia: si consumano i pasti insieme , si vive e si lavora nel rispetto delle diverse culture e religioni presenti. Difficile riportare le  testimonianze di due ospiti, ma dalle loro parole emergeva la preoccupazione , diremmo quasi la paura, per un futuro che appare così poco sicuro e molto incerto. L’avvocato Laila Simoncelli ha cercato di mettere in evidenza che cosa è cambiato con il nuovo Decreto di Sicurezza e come le misure previste non sembrino essere del tutto in linea con l’articolo 10 della Costituzione Italiana , cioè quello che protegge i cittadini stranieri. La norma che produce maggiori dubbi è contenuta nell’articolo 1 del decreto che prevede una stretta severa sulla precedente protezione umanitaria. Con il nuovo decreto, la protezione umanitaria viene sostituita con una serie di “casi speciali”, come i richiedenti asilo gravemente malati, per protezione speciale, per casi speciali o per valore civile. Inoltre questi permessi non possono essere convertiti in permesso di lavoro. Un’altra misura  importante è il depotenziamento del sistema di protezione per richiedenti asilo e protezione ( SPRAR)- considerato un modello di accoglienza virtuoso in quanto i centri sono più piccoli della media e chi se ne occupa ha diversi doveri nei confronti degli ospiti-.

Nel dibattito che è seguito una domanda è ritornata: oltre ad esprimere il proprio sdegno per quanto sta succedendo in Italia e in Europa, quali passi concreti la gente comune può intraprendere? Dalle persone presenti attorno al tavolo è venuta la proposta di fare una informazione corretta e giusta e quindi l’invito a ripetere l’iniziativa in altri quartieri e zone .

Conclusioni

Se le nuove manovre di Governo impoveriranno i percorsi integrativi, il rischio è che sempre più migranti finiscano in strada e vengano intercettati dalla malavita, sfruttati da persone che cercano manodopera a basso costo o che li usino per racket e prostituzione.

“L’ultimo dato che ci preme segnalare è la crescita di immigrati che sono in Italia da oltre 20 anni e che ora si ritrovano in forte difficoltà, (sono oltre il 10% di tutti gli immigrati incontrati) si rivolgono alla Caritas perchè hanno perso un lavoro e non riescono a ritrovarlo; molti hanno bambini piccoli, alcuni nati proprio in Italia, e non sanno come affrontare la quotidianità per garantire loro una sopravvivenza; alcune famiglie si sono dovute disgregare, dividendosi tra restare in Italia e tornare in patria. Per alcuni poi c’è la perdita del regolare Permesso di Soggiorno, perché sono venuti meno i requisiti necessari per il rinnovo e questo crea non pochi problemi. L’essere irregolari non permette l’iscrizione al Centro per l’Impiego, ai Servizi sociali, ma non permette neppure di avere una residenza ed un medico di base. Per questo in diverse Caritas sono nati ambulatori medici, destinati sia a italiani che a stranieri, proprio per

coloro che hanno perso la residenza e quindi anche il medico di base” (Ultimo rapporto Caritas Emilia-Romagna)

La questione immigrazione è pertanto “un banco di prova non tanto per la politica di palazzo, ma per le nostre comunità, che dovranno riappropriarsi di quei valori fondamentali che vedono nel Vangelo e nella Costituzione due punti di partenza irrinunciabili per formulare scelte che abbiano al centro la persona umana” (Oliviero Forti – Caritas italiana)